Inizia la seconda fase del nostro Dialogo “La comunità c’è?”, in cui ci dividiamo in piccoli gruppi.
Ci ritroviamo in una stanza in quattro: Margherita, insegnate, Elena, psicologa e psicoterapeuta, Linda e Prisca, tirocinanti il psicologia.
Ognuna di noi inizia a raccontare la propria esperienza e sono emerse diverse riflessioni.
Responsabilità e partecipazione nella comunità
All’interno delle scuole sono investiti i docenti della responsabilità di creare comunità, non facendo notare ai ragazzi (o ad altri membri) che anche loro stessi hanno un ruolo all’interno della stessa. Questa complessità nasce dell’implicito che le relazioni nascono spontaneamente, anche se non è sempre così.
Pertanto, una comunità si può generare attraverso l’attivazione di diverse figure, che possono lavorare contemporaneamente:
- Gli studenti, che possono promuovere relazioni tra loro stessi o verso gli altri (altre classi, con i genitori, con i docenti, con i dirigenti, ecc.);
- Gli insegnanti, che possono anche realizzare delle attività didattiche (es. lavori di gruppo, l’uso dell’apprendimento tra pari, disposizioni particolari della classe, progetti di sensibilizzazione su temi delicati come la disabilità, ecc.);
- I dirigenti scolastici;
- I genitori.
- …
Tali figure si attivano diversamente anche in funzione dei diversi tipi di comunità e della sua ampiezza, in quanto a seconda dei contesti cambia il concetto stesso di comunità (come i membri la definiscono).
“La scuola di paese (piccola) è aggregante, la scuola è la comunità. I ragazzi passano 3/4 del tempo a scuola con i compagni e gli insegnanti, più tempo rispetto a quanto ne passano a casa. La relazione è molto forte.”
Margherita
Dall’individualismo alla condivisione
Nel momento stesso in cui creiamo una comunità, ciò che accade non è più il problema di un singolo, ma è di tutti i membri, che partecipano alla sua presa in carico e sono tutti responsabili della gestione di queste dinamiche.
“Una pratica può essere affrontare i problemi subito, non nasconderli, ed affrontarli insieme perché non esiste il problema dell’insegnane di matematica, esiste una situazione per cui l’intero team, l’intera comunità, prenderà in carico la situazione. Possiamo farlo perché è una scuola piccola, ma agiamo (come comunità docente) in maniera compatta e coesa e questo dà ai ragazzi forza perché sentono la familiarità educativa, come succede in casa: mamma e papà che vanno d’accordo e discutono con i figli. […] Anche l’ora extra, forse non retribuita, è mettersi al servizio di una comunità.”
Margherita
Generiamo altre domande
Le nostre riflessioni ci hanno portato a dire che creare comunità nelle scuole di paese, di piccole dimensioni, è possibile. Ma come possiamo farlo anche in contesti più ampi? Come questi contesti possono stare nel tempo presente e discutere i problemi insieme? E anche nei contesti più piccoli, come facciamo a “non perdere la rotta” e continuare a proseguire l’obiettivo di stare in comunità?