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approfondimento sul tema

L’educazione, la paura e l’immaginazione.

La paura c’è!

La paura o, per meglio dire, alcune paure hanno sempre abitato le istituzioni scolastiche, erano già lì in stato embrionale quando sono state progettate, nel tempo sono cresciute, si sono moltiplicate, alcune sono passate di moda, altre lo sono ora, alcune hanno vissuto ai margini altre lo vivono ora.

Oggi come ieri le paure attendono scolari e scolare, docenti, dirigenti e operatori di vario titolo prima ancora che l’attività scolastica inizi.

La scuola nel tempo della pandemia si offre come scenario per osservare le possibili nuove sfumature dei vissuti che etichettiamo come paure, ci permette anche di osservare, con rinnovata attenzione, alcune dinamiche che si danno nei contesti scolastici e capaci di generare paure.

Nel corso dell’incontro abbiamo rivolto l’attenzione a come le paure emergono nei contesti scolastici ed in particolare a come sono accolte e affrontate. Ci hanno condotto nel viaggio della scuola della pandemia e della scuola ante-pandemia Roberto Saleri e Anna Antonucci (link pagina con le bio), entrambe docenti ma di scuole diverse, il primo entrato a scuola quando la seconda l’ha lasciata.

Il viaggio tra la paure che abitano la scuola si è realizzato tramite i racconti. Le storie non si prestano a generalizzazioni, non hanno nulla a che vedere con i protocolli e per definizione sono uniche quindi diverse da quelle che vivi tu che leggi queste parole. Allo stesso tempo addensano prospettive, intuizioni, aprono strade capaci di aumentare le possibilità di azione di chi se ne nutre. Seguono le storie di paura che Anna e Roberto ci hanno lasciato.

La paura di essere responsabili

“Eravamo tra ottobre e novembre dell’anno scorso – Roberto racconta –  quando si è diffusa la voce della possibilità di una nuova chiusura anche delle scuole e del ritorno della Didattica a distanza”

Entrando in classe ho notato una certa agitazione. Sono un insegnante precario e lavoro in una scuola di Brescia. Nonostante sia un supplente, i ragazzi e le ragazze mi hanno preso come riferimento, passo parecchio tempo con loro.

Una domanda di una ragazza mi ha incuriosito, per alcuni versi mi ha toccato. Si era aperta una discussione su quello che sarebbe potuto succedere: chiusura, non chiusura, il ritorno in DAD. Una ragazzina mi ha rivolto questa domanda: “È davvero colpa nostra se questa malattia si sta continuando a diffondere quindi stiamo andando di nuovo in lockdown? È davvero colpa di noi giovani che non riusciamo a rispettare le regole se siamo di nuovo punto a capo?”

L’ho trovato una domanda molto significativa. Mi ha colpito come la domanda incarnasse il discorso pubblico che si è animato intorno al senso di responsabilità individuale.

Ho pensato di accantonare la lezione preparata e di mettere al centro del confronto il tema portato dalla domanda in modo da lasciare emergere la loro prospettiva e come stavano affrontando questo momento. L’ho fatto anche pensando che raccontare sia anche un po’ un modo per resistere.

Nel mio intervento nel corso del confronto ho fatto presente come ci siano diversi gradi responsabilità ai quali riferirsi e che sia difficile dare la colpa a un unico individuo per il diffondersi di una malattia. Chiaramente esiste una responsabilità individuale, in tal caso attenersi a un certo sistema di regole, ma è anche utile fare un discorso più ampio sulla responsabilità a partire, ad esempio, da una probabile origine delle pressioni che l’uomo esercita sugli ecosistemi.

La paura di essere responsabili nel racconto di Roberto si è trasformata in un’occasione per educare alla responsabilità e leggere criticamente i messaggi che animano il discorso pubblico e le interpretazioni che tutti noi, scolari e scolare compresə produciamo.

L’agire di Roberto è disarmante nella sua semplicità, antico ma sempre rivoluzionario se ben governato: dare priorità ad argomenti emotivamente caldi e di interesse collettivo e aprire uno spazio per il racconto in cui moltiplicare la riflessività sullo stesso, uno spazio in cui resistere alla forza degli impliciti dello stesso raccontare di generare anche paura. 

Di Emilio Ruffolo

Emilio Ruffolo, Psicologo Psicoterapeuta ad orientamento Interazionista, lavora in ambito clinico. Collabora al progetto educativo "Le Terre di Castalia" in qualità di referente psicopedagogico nonché al progetto GruppoNASCITA in cui si occupa di promozione della salute in ambito perinatale.

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