Cara Agata,
Anche io ho trovato illuminante questo accostamento tra regole e fiducia, applicato al contesto scuola in particolar modo, avendo rilevato nell’ultimo periodo l’enfatizzarsi di un processo contrario a quello virtuoso da te declinato, ossia: faccio regole per il fatto che non mi fido di te. A partire da questo presupposto uso la regola come forma di difesa o di punizione a priori, esercito potere e non condivisione. Paradossalmente in questo momento di pandemia più sei grande meno ti viene data la possibilità di misurarti e prendere responsabilità delle regole. I ragazzi stanno a casa i bambini vanno a scuola. Forse non ci si può arrischiare di sfruttare questo momento per mettere alla prova i giovani (ribelli e sconsiderati per natura?) a responsabilizzarsi rispetto alle esigenze comunitarie che il periodo richiede? Non voglio essere superficiale in questo ma nemmeno perdere di vista il fatto che forse negli anni si è lavorato poco con i ragazzi e le ragazze sul senso delle regole in un’ottica di cittadinanza attiva e in una prospettiva di comunità. Quindi la Pandemia mette in luce (in controluce) un aspetto su cui siamo stati carenti e non solo un problema innescato all’emergenza sanitaria. Spostare il focus dall’individuo alla comunità vuol dire anche cogliere da questo momento eccezionale elementi di riflessione sul tipo di cittadinanza e che esprimiamo e che rappresentiamo, declinata certo in ruoli certo (insegnante, studente, genitore…) ma convergente in un sistema unico. Che possiamo cambiare. Tu parli di modificare.
A scuola studiamo qualcosa che è stato racchiuso in una materia: La storia. Allora mi piacerebbe pensare a questi due verbi, il cambiare e il modificare, come alla possibilità che abbiamo di costruire la nostra storia, non solo come individui appunto!
Marta
Articolo scritto a quattro mani con Agata Gulisano.